La fondatrice de Il Manifesto racconta la sua esperienza con la politica e il giornalismo al Master in Giornalismo e Comunicazione multimediale
«Oggi per pranzo facciamo la pasta con la farina bianca», parole frugali come il cibo a cui si riferiscono ma che avevano il sapore della festa. Così Luciana Castellina racconta il giorno che ha cambiato la sua vita: il 25 luglio del 1943, la caduta del fascismo. Quella mattina era a casa di una sua compagna di classe, Anna Maria Mussolini, figlia di Benito, e ricorda che quando la radio dette la notizia dell’arresto del dittatore subito arrivarono degli uomini che fecero scappar via la bambina.
«Dal 43 al 45 ho avuto in casa due zie e due cugine triestine di origine ebrea. Ero totalmente inconsapevole di quello che succedeva, sapevo solo che avevano dei documenti che avrebbero dovuto mostrare se ci fosse stato un controllo. La sera si faceva la prova per vedere se zia Lisa che era un po’ rincoglionita si ricordasse le nuove generalità», racconta degli anni della guerra. «Per me la politica è stato proprio questo: la scoperta del mondo». Date le premesse il suo giornalismo non poteva che essere legato a doppio fila con la politica. Luciana Castellina non ha mai lavorato per un giornale che non fosse un giornale politicizzato e militante, se si esclude la breve collaborazione con Repubblica per sua amicizia con Eugenio Scalfari.
Nei primi anni Cinquanta Castellina diventa dirigente della sezione giovanile del PCI e comincia a fare giornalista con Nuova Generazione, di cui poi è diventata direttrice. «Fare la giornalista per me è stato divertimento. Significava andare fuori dal proprio circuito», dice. Vivo nella memoria è ancora il primo lavoro giornalistico fatto: un’inchiesta su come fossero e come vivessero i giovani operai di quegli anni. «Mi venne in mente una cosa divertente, andai a fare un’inchiesta su come gli operai facevano le vacanze. Scoprii, ad esempio, che i dipendenti della Olivetti usavano fare le vacanze in tenda».
Nel 1967 Castellina va in Grecia per Paese Sera durante il colpo di stato dei colonnelli. «Con me c’era anche Furio Colombo, venimmo a sapere che erano stati arrestati duemila comunisti ed erano stati messi in uno stadio. Furio però non aveva foto. Scoprii allora, attraverso dei miei contatti segreti, che in un commissariato di Atene erano stipati dei pacchi per quegli arrestati. Andammo io Furio e l’operatore. Rientrata in albergo, andai a fare una doccia e uscita dal bagno mi trovai la stanza piena di poliziotti, feci in tempo a cambiarmi in bagno, memorizzare i contatti dei compagni non arrestati in Grecia e ingoiare i bigliettini dove erano scritti nomi e numeri. Poi la polizia greca mi portò via, fui la prima giornalista italiana ad essere arrestata», racconta.
I reportage dalla Grecia sono ciò che dà a Luciana la fama, ma la consacrazione arriva con la fondazione de Il Manifesto. Il giornale nasce da una dissidenza: Luciana faceva parte insieme ad altri compagni come Lucio Magri e Rossana Rossanda, critici nei confronti della corrente del partito filosovietica. Questo gruppo dissidente si oppone e manifesta contro l’invasione sovietica di Praga e della Cecoslovacchia, ritenendolo un errore ma soprattutto una degenerazione del sistema. Dalla rottura è nata prima la rivista de Il Manifesto e poi il quotidiano. «L’intuizione, che venne dal tipografo, su quella di la rivista nelle edicole anziché nelle librerie, dove finivano i prodotti più elitari.
La redazione originaria era composta di tre soli giornalisti, compresa Luciana. Poi il progetto crebbe e nel giornale entrarono molti giovani sessantottini.«Non c’erano soldi per stampare il Manifesto anche a Milano e Torino. Dovevamo, quindi, mandarlo da Roma in aereo o in camioncino. Gli aerei però con la nebbia non partivano e le autostrade finite ancora non c’erano, era molto difficile far arrivare il giornale in tempi per intercettare l’orario di distribuzione a Milano. Il tutto era reso più complesso dal fatto che i ferrovieri non scendevano per distribuire Il Manifesto, visto che era un giornale di dissidenti», racconta Luciana Castellina.
Nonostante le difficoltà iniziali l’esperienza de Il Manifesto è stata duratura, tanto che, ad oggi, è l’unico giornale di sinistra ancora presente sul panorama editoriale italiano. «Il mondo sta cambiando e i giovani lo percepiscono. Ricordatevi: la rivoluzione non è un optional, la rivoluzione è obbligatoria», conclude.